Avevo da tempo il sospetto che il succedersi di governi
avesse l’intento di frantumare non solo la scuola come parte integrante del
sistema democratico ma soprattutto gli insegnanti come categoria intellettuale.
Ma oggi ne sento la certezza. Messa da parte l’ incessante svalutazione del
lavoro del docente, uno dei primi elementi di frantumazione è stata la
competizione tra le scuole. Importata dal mondo anglosassone, la competizione è
stata spacciata per orientamento degli «utenti» ovvero l’implementazione del marketing
nel mondo educativo. Legando proventi e posti di lavoro al numero di studenti
della scuola, e inasprendo le competizione, accorpando e chiudendo istituti
(ora si che si spiega il termine razionalizzazione) si è riusciti a convincere
i docenti che mercificare la propria scuola sia non solo legittimo ma persino
etico. Di conseguenza ci sono numerosi docenti che, nella salvaguardia del
proprio posto di lavoro, sono disposti a propagandare ai quattro venti le
offerte (sic) della propria scuola, impiegando la propria auto, il proprio
telefono, le proprie energie in modo anche superiore agli sforzi portati in
classe. Nel momento in cui si ipotizzano forme di lotta, emerge una resistenza
ad abbandonare questo terreno di gara, nella consapevolezza che in gioco c’è il
tornaconto. Con l’idea aziendale di introdurre la valutazione nelle scuole, si
acutizzerà la rivalità tra colleghi, non solo di scuole diverse ma anche nella
stessa scuola. Così tra fasce, bollini, titoli onorifici e medaglie, i docenti
si dibatteranno come pesci nella rete dell’agonismo alla ricerca del soldo,
della stabilità, dello status. E finalmente sarà completata la devastazione integrale.
Sarà passato il paradigma culturale che vede non solo la mercificazione del
sapere, ma anche e soprattutto del docente, interscambiabile, come un
ingranaggio nel meccanismo asettico della «formazione» (dare la forma), dove lo
studente prodotto viene semilavorato dall’insegnante (che imprime il segno) a
beneficio delle imprese, forse persino a corollario. L’identità personale dello
studente sarà relegata a medicalizzazione della mente, ovvero il disagio e la
confusione saranno affrontati come disturbi sociali, da affidare a specialisti
che analizzeranno e reinseriranno l’anormale alunno nel percorso canonico.
Perché il docente sarà impegnato a certificare competenze, predefinite in
moduli standardizzati (altrimenti impossibili da confrontare nei processi di
valutazione), da somministrare con strumenti tecnologici in modo da favorire l’assimilazione
ideale di uomo come macchina, talvolta guasta, che deve riprodurre efficienza e
prestazioni tipici dell’automa, con cui sempre più deve confrontarsi. Il
docente potrà finalmente espellere dalla propria sfera di competenza tutte le peculiarità
irrazionali del soggetto utente, come la creatività, l’identità, l’emozione, la
soggettività, l’ansia, la confusione e qualsiasi elemento disturbante come le
tempeste ormonali adolescenziali,
i
turbamenti dello spirito e della sessualità, il riconoscimento individuale,
l’autonomia e l’autodeterminazione.
Meravigliosamente sempre più studenti si chiederanno stupiti
perché debbano apprendere argomenti irrazionali, come la poesia e la pittura, poiché
non saranno in grado di coglierne l’utilità ovvero la funzionalità al sistema.
Salvo, ovviamente, che diventino elementi produttivi, oggetto di marketing e di
promozione di prodotto/servizio, complementi oggettivi di visite, analisi e
soprattutto consumo. L’emozione sarà il punto d’azione del promoter culturale.
Ed ecco che non c’è differenza tra la copia del David e l’originale, il vero
gotico e il neogotico statunitense, la piramide vetroacciaio, la visita
virtuale ad Olimpia.
La scuola sarà il propulsore di questa moderno stile di
vita, competitivo e estraniante. Sarà conferito un «bravo» agli studenti
rapidi, efficienti, performanti, possibilmente stereotipati (l’uso di termini
soft facilita questa assimilazione come socializzati o scolarizzati) e un
«cattivo» a quelli non integrati, non aderenti al modello. Gli studenti
creativi, emotivi potranno essere espulsi dai percorsi di integrazione con la
appagante sensazione che sia liberatoriamente «giusto» e riconosciuto dalle
«indicazioni degli standard nazionali e internazionali». E finalmente
l’insegnante sarà l’operaio del sapere, incaricato di «dare forma» al
«cittadino» degno di un romanzo di Heinlein.
Andrea Zoccheddu
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